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Black Hat SEO: le tecniche di ottimizzazione che non piacciono a Google

Scritto da Marco Targa | 30 luglio 2024

 

Cercare di “fregare” Google non è mai una buona idea se l’obiettivo è quello di ottimizzare un sito web per fargli scalare la SERP fino ad arrivare al primo posto.

Esistono pratiche per l’ottimizzazione che rispettano le linee guida date dal motore di ricerca, altre che violano le regole e possono causare penalizzazioni, e altre ancora che stanno in mezzo a queste due.

Le attività consentite vengono chiamante White Hat SEO, quelle non consentite sono comprese nella Black Hat SEO, mentre quelle a cavallo tra l’una e l’altra sono definite Gray Hat SEO.

 

Andiamo a focalizzarci sul lato oscuro dell’ottimizzazione per i motori di ricerca, così da capire come evitare di incappare in sanzioni da parte di Google.

 

 

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Definizione di Black Hat SEO

 

 

La Black Hat SEO è l’insieme di metodologie che si possono mettere in atto per migliorare il posizionamento di una pagina web in SERP, ma che vanno contro i voleri del motore di ricerca su cui ci si vuole posizionare, ad esempio Google.

Vengono utilizzate per aumentare velocemente il ranking e, di conseguenza, ottenere facilmente vantaggi in termini di visibilità e volumi di traffico sul sito web.

 

Perché è rischioso eludere le comuni norme della SEO se danno considerevoli vantaggi?

 

Perché Google, ma anche gli altri search engine, evolvendosi è diventato sempre più bravo a individuare le irregolarità e sempre più severo nell’attribuire penalizzazioni.

 

Usare la Black Hat SEO comporta notevoli rischi, questo deve essere chiaro.

 

 

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Perché il “cappello nero” per identificare la SEO vietata?

 

Il nome di questa branca della SEO non ha un’origine tecnica o informatica, ma deriva dal cinema in bianco e nero.

 

Nei vecchi film western i cowboy buoni portavano un cappello bianco e, in totale opposizione, i pistoleri cattivi avevano sul capo proprio un cappello nero.

 

Da qui la White Hat SEO è la parte buona dell’ottimizzazione e la Black Hat SEO è il lato che si ribella alla legge del motore di ricerca.

 

 

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Quali sono le pratiche non consentite da Google?

 

 

Un tempo, potremmo dire agli albori della SEO, una delle pratiche di Balck Hat che veniva usata era quella che prevedeva l’inserimento massiccio di parole chiave in una sola pagina, tecnicamente keyword stuffing, talvolta nascondendole abilmente.

Questo metodo ora è facilmente riconosciuto da Google e, quindi, non viene più usato.

 

Un sistema ancora usato per ingannare il crawler del motore di ricerca, ovvero il software che analizza i contenuti dei siti, è il cloaking, che si basa sul mostrare ad esso una versione di una pagina web estremamente ottimizzata, ma diversa da quella che visualizza l’utente.

 

Anche l’uso di pagine doorway (chiamate anche jump, bridge pages, gateway) rappresenta una scorciatoia per guadagnare posizioni in SERP, soprattutto se ci si vuole posizionare per chiavi di ricerca locali (esempi: miglior idraulico a Bologna, agenzia digital marketing a Roma, avvocato matrimonialista a Milano).

 

Questo tipo di pagine non ha contenuti di qualità per l’utente, ma solo keyword e link che inducono Google a pensare che sia di valore. Il suo obiettivo è attirare l’utente e rimandarlo alla vera pagina con i contenuti. Praticamente fa da porta verso la pagina web che realmente si vuole mostrare all’utente.

 

I SEO specialist con il cappello nero, per aumentare rapidamente il ranking di un loro sito, acquistano domini di siti ritenuti già autorevoli dal motore di ricerca e attraverso link e reindirizzamenti fanno in modo di trasferire il valore di quest’ultimi al primo.

 

 

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La link building è consentita o no?

 

 

La link building si può collocare in quella zona grigia della SEO che vista da un punto di vista risulta assolutamente bianca, mentre da un altro risulta nera come la pece.

Ottenere link da siti autorevoli che puntano verso una propria pagina web non è illegale agli occhi di Google, se questi collegamenti vengono inseriti spontaneamente, magari perché viene citato il brand o uno specifico contenuto di qualità allo scopo di dare agli utenti una fonte di ulteriori informazioni.

 

Se, invece, la costruzione di una rete di link verso una pagina web viene fatta attraverso scambi irregolari o acquisto di link, senza creare contenuti di valore, allora il motore di ricerca si arrabbia e dà una penalità appena si accorge del raggiro.

 

Ciò che può essere inserito nella Gray Hat SEO, quindi una pratica di ottimizzazione tollerata, è il link baiting, che prevede l’offerta a un sito autorevole di contenuti di qualità con all’interno un link.

 

 

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Come evitare le penalizzazioni di Black Hat SEO

 

Per evitare di incorrere in penalizzazioni, è fondamentale seguire le linee guida di Google e adottare pratiche di SEO White Hat. Questo include la creazione di contenuti originali e di alta qualità, una gestione etica dei link e un'ottimizzazione conforme alle best practice del settore. Investire in queste tecniche non solo evita rischi di penalizzazione, ma contribuisce a costruire una reputazione solida e duratura online.

 

Conclusioni

In conclusione, il Black Hat SEO può sembrare un'opzione allettante per migliorare il posizionamento sui motori di ricerca in modo rapido, ma i rischi associati a queste pratiche superano di gran lunga i benefici. Adottare un approccio etico e conforme alle linee guida dei motori di ricerca è la chiave per ottenere risultati duraturi e sostenibili.